ARTICOLO SCRITTO PER IL BLOG MATITA E FORCHETTAIl Diabete è una patologia caratterizzata dall’aumento della concentrazione di glucosio nel sangue. Si parla di Diabete Mellito (dal latino mellitus «contenente miele; dolce come il miele»), per la presenza di urine dolci: quando il glucosio è costantemente presente nel sangue, viene eliminato con le urine, dando loro un caratteristico sapore dolce. Il soggetto sano e le forme di Diabete In un soggetto sano, dopo il pasto si ha fisiologicamente un aumento della glicemia, a cui la produzione di insulina risponde riducendola promuovendo l’ingresso del glucosio nelle cellule a scopo energetico. Nel soggetto diabetico questo non succede, per incapacità del pancreas di produrre insulina (Diabete di Tipo I) o per incapacità della cellula di utilizzare il glucosio malgrado la presenza dell’ormone (Diabete di Tipo 2). Le conseguenze dell'iperglicemia cronica possono essere devastanti: danni a occhi, reni, sistema nervoso e cardiovascolare. Attenzione dunque a non sottovalutare la situazione e cercare di intervenire tempestivamente con terapia e dieta. Il Diabete di tipo 2 viene trattato farmacologicamente con gli ipoglicemizzanti orali e con la correzione dello stile di vita: la riduzione del peso se presente sovrappeso, l’eliminazione di altri fattori di rischio come alcol e fumo, una dieta sana, equilibrata, bilanciata e a basso carico glicemico, in associazione a costante attività fisica migliorano la sensibilità insulinica e la glicemia, riducendo sensibilmente il rischio cardiovascolare associato. Sito SID Società Italiana Diabetologia “E' vero che mangiare tanti dolci provoca il diabete?” Il Diabete di tipo 2 è una patologia multifattoriale: una dieta ricca di zuccheri, dolci e grassi idrogenati, e più in generale, sbilanciata e di pessima qualità, associata a scarsa attività fisica, è un fattore di rischio da non sottovalutare. Le cattive abitudini alimentari del giorno d'oggi hanno portato ad uno spaventoso aumento dei casi e i dati sono davvero allarmanti. Al contrario, il Diabete di tipo 1 ha di solito un esordio precoce, i soggetti affetti sono legati al trattamento farmacologico con iniezioni di insulina esogena per tutta la vita e devono prestare un’attenzione ancora maggiore. In questo caso sarà ancora più importante la prevenzione delle complicanze dovute all'iperglicemia cronica e allo stesso tempo si dovrà minimizzare il rischio di ipoglicemia potenzialmente causato dalla terapia farmacologica: l’iniezione insulinica ha lo scopo di sopperire alla mancanza dell’insulina endogena, tuttavia la dose, il timing e la frequenza della somministrazione deve essere studiate con grande accuratezza dall’équipe medica curante, in quanto deve essere calibrata e gestita anche sulla base del pasto, in particolare sulla quantità di carboidrati assunti. Alam U, Asghar O, Azmi S, Malik RA General aspects of diabetes mellitus. Handb Clin Neurol. 2014 “Come si potranno gestire gli eccessi culinari natalizi?”
Con moderazione e attenzione: il Diabete, sia di tipo 1 che di tipo 2, è una patologia a tutti gli effetti. Non va in vacanza e, ahimé, è nemica di Panettone e creme al mascarpone. I rimedi: lo sport può essere utile? Ottimi benefici si possono ottenere dall’attività fisica. Una camminata di 30 minuti al giorno ha incredibili effetti sulla glicemia e dimostrati benefici sul rischio cardiovascolare nel Diabete di tipo 2. Tuttavia, anche il Diabete di tipo 1 può trarre sorprendenti vantaggi dallo sport: un recente studio ha dimostrato che anche gli HIIT (allenamenti ad alta intensità), se sapientemente programmati tenendo conto di terapia e dieta periallenamento, possono portare a netto miglioramento della glicemia. Le evidenze vi sono, tant’è che ormai molte associazioni per diabetici (prima fra tutte l’American Diabetes Association) raccomanda a bambini e adolescenti affetti di sottoporsi ad esercizio fisico moderato almeno 30-60 minuti al giorno. E. J. Cockcroft, C. Moudiotis, J. Kitchen, Bert Bond, C. A. Williams, A. R. Barker High‐intensity interval exercise and glycemic control in adolescents with type one diabetes mellitus: a case study Physiol Rep. 2017 Jul. Imprescindibile in ogni caso, farsi seguire da istruttori qualificati e medici e dietisti che sappiano combinare al meglio terapia, pasti e allenamento. L’esperienza di Franco Da tre anni Franco Stizzoli, istruttore ISEF esperto in wellness, si occupa di corsi di ginnastica per soggetti affetti da Diabete di tipo 1 over 50. “Un progetto ammirevole. E’ stata una bella esperienza?” “Sì, incredibile e ricca di soddisfazione. Queste persone sono arrivate da me in condizioni non entusiasmanti. A fine corso quasi tutti hanno dovuto ridurre la terapia insulinica per uno straordinario miglioramento della glicemia”. Cosa abbiamo imparato
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ARTICOLO SCRITTO PER IL BLOG MATITA E FORCHETTASi rientra dalle vacanze, alcuni giorni per riappropriarsi della propria routine, troppi aperitivi con amici e colleghi… Infine eccolo: un camion di buoni propositi! Ai primi posti? Dieta e palestra! Vediamo come ricominciare al meglio. Regola numero 1: procedere per gradi Sconsigliato il brusco passaggio da spiaggia, pizza e brioches notturne a regime ferreo e 7 su 7 in palestra, soprattutto se non si è abituati. Passare da zero a cento è il miglior modo per tornare da cento a zero e ricascare nell’ozio! Sì invece ad una rinnovata energia con graduale (ma deciso) ritorno a cibi salutari e attività fisica costante. Regola numero 2: evitare eccessive restrizioni dietetiche. Sfatiamo il mito che “meno si mangia, più ci si allena e più funziona”, anzi! Regimi alimentari eccessivamente restrittivi, in associazione a strenui programmi fisici, spesso creano il risultato opposto: aumento del cortisolo (noto come “ormone dello stress”), infiammazione sistemica e difficoltà a tornare in forma. Regola numero 3: fare benzina al momento giusto Qualsiasi sia l’attività svolta, è fondamentale avere il corretto introito di nutrienti, ma in campo fitness non è solo importante cosa e quanto si mangia, ma anche quando lo si consuma. Grande attenzione ai pasti peri allenamento (prima, durante e dopo): il “timing” varia in base all'obiettivo (dimagrimento? massa muscolare? definizione? ricomposizione corporea?), in base al tipo di attività praticata (allenamento aerobico o anaerobico? di che durata? a che intensità?) e al momento della giornata (allenamento al mattino, in pausa pranzo o alla sera?). Regola numero 4: non demonizzare i carboidrati
Una dieta a basso contenuto di carboidrati compromette le riserve energetiche necessarie per un allenamento regolare, con riduzione del glicogeno muscolare e conseguente spossatezza che rende poco proficuo l’allenamento. Questo è vero soprattutto per le attività aerobiche (corsi musicali, tapis roulant, spinning), in cui i carboidrati sono un’importante fonte di energia, tuttavia gli zuccheri vantano un primario ruolo nell’aumento e nel mantenimento della massa muscolare: un buon pasto glucidico post workout massimizza gli effetti anabolici dell’allenamento con sovraccarichi. Molto efficace il cosiddetto “carbs cycling”,un protocollo dietetico in cui la quantità di carboidrati giornalieri è ciclizzato nell’arco della settimana: maggiore nei giorni in cui ci si allena rispetto ai giorni di riposo. Infine, sconsigliati pasti eccessivamente abbondanti o ad alto contenuto di grassi e proteine prima della sessione. Latte, yogurt, affettati, creme spalmabili vengono digeriti lentamente e permangono più a lungo nel tratto digestivo: meglio un paio di fette di pane integrale oppure crackers e frutta fresca. “Enrico, tu ti alleni in palestra da una vita: che tipo di allenamento svolgi?” “Durante l’anno alterno periodi di allenamento anaerobico puro a momenti in cui introduco sessioni aerobiche. Spesso mi gestisco anche in base a stress e stanchezza.” “Come gestisci i pasti pre e post allenamento? Mai sentito parlare di Carbs Cycling?” “Da tempo sono un grande sostenitore della ciclizzazione dei carboidrati: nei giorni di riposo li tengo bassi, a favore dei grassi, mentre nei giorni di allenamento è il contrario. Tendo a concentrare la quota di carboidrati proprio vicino all’allenamento: prima per avere una buona energia per allenarmi, e dopo per un corretto recupero del glicogeno muscolare.” Cosa abbiamo imparato: - poco efficaci le diete eccessivamente ipocaloriche mentre utile un buon “timing” dell’assunzione dei nutrienti - controproducenti i pasti ricchi di grassi e proteine nel pre workout, in quanto difficili da digerire - sì ai carboidrati: ottima strategia ridurli nei giorni di rest e aumentarli a ridosso dell’allenamento Riferimenti: Alimentazione nello sport – Mc Ardle, Katch, Katch – CE Ambrosiana Ebook Oukside – Vincenzo Tortora ARTICOLO SCRITTO PER IL BLOG MATITA E FORCHETTA “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. Ippocrate, nel 400 a.C., fu il primo a riconoscere l’incredibile potere del cibo sulla nostra salute. Considerato il padre della Medicina moderna, molte delle sue intuizioni sono state confermate da numerosi studi scientifici e oggi è via via crescente la consapevolezza che un’alimentazione varia ed equilibrata sia alla base del benessere e della salute di ognuno di noi, mentre un'alimentazione inadeguata incida negativamente sul benessere fisico e psicologico, rappresentando uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di numerose malattie croniche. Fin dai tempi più antichi erbe, spezie e alimenti sono stati usati a scopo terapeutico: lo zenzero ad esempio, tanto in auge nei tempi moderni, è in realtà da millenni utilizzato dalle popolazioni asiatiche per combattere raffreddore, febbre, nausea e cattiva digestione. Oltre alla Nutraceutica, esistono ormai protocolli dietetici specifici per numerose patologie e quadri clinici. Sebbene la dieta non si sostituisca alle terapie farmacologiche, è stato osservato che determinate abitudini alimentari possono fare la differenza. Vediamo alcuni esempi. Il reflusso gastroesofageo è una patologia diffusissima: si stima che ne soffra il 30% della popolazione ed è caratterizzata da bruciore e acidità di stomaco dovuti alla risalita del contenuto gastrico a livello dell’esofago. Oltre a calare di peso se presente sovrappeso, è bene ridurre l’apporto di cibi aciduli come pomodori, agrumi, aceto e di alimenti stimolanti come caffè, tè, cioccolato, menta, aglio, cipolla e cibi piccanti. E’ consigliabile evitare pasti eccessivamente grassi o abbondanti, ridurre zuccheri, dolci e cereali raffinati, bere acqua a temperatura ambiente, limitare le bevande gassate ed evitare chewing-gum e caramelle. Quando il disturbo non è eccessivamente grave, queste semplici accortezze possono risolvere il problema, come nel caso di Luigi, che soffriva di forte reflusso e a 2 mesi dall’inizio della dieta ha dichiarato di non aver “mai più avuto acidità”. Un altro disturbo spesso trascurato è la cefalea, patologia del sistema nervoso caratterizzata da dolore alla testa tale da compromettere fortemente la vita sociale di chi ne soffre. Non sono pochi i casi di remissione per migliorato stile di vita, ma esistono molte situazioni in cui è complicato determinare la causa del disturbo.
A livello alimentare, il mal di testa può avere molteplici origini ed essere il primo segnale di ipersensibilità e intolleranza. Gli alimenti che possono determinare cefalea in soggetti sensibili sono moltissimi: latte, cioccolato, agrumi, tè, caffè e frutta secca. Sostanze come tiramina, fenilalanina, istamina, caffeina, alcol, nitrati, solfiti, glutammato monosodico e aspartame sono presenti in numerosissimi alimenti: formaggi stagionati, legumi, cibi in scatola e non solo. E’ facilmente intuibile la difficoltà diagnostica e sarebbe superficiale ridurre il problema ad una semplice relazione causa-effetto. Negli ultimi anni si parla sempre di più dell’utilizzo della Dieta Chetogenica per il trattamento dell’emicrania. Si tratta di un’alimentazione basata su un elevato consumo di grassi e bassissimo di carboidrati, principalmente conosciuta per gli incredibili effetti sulle epilessie infantili resistenti ai farmaci: viene così indotta la produzione dei corpi chetonici, che si sostituiscono ai carboidrati e diventano la principale fonte energetica di diverse cellule tra cui i neuroni. Gli studi del Prof. Cherubino Di Lorenzo, neurologo dell’Università La Sapienza di Roma, sono sorprendenti: “I corpi chetonici smorzano l’infiammazione neurogena che è comune sia all’epilessia che all’emicrania e modulano la frequenza di scarica dei neuroni. Abbiamo osservato che i pazienti che si sottopongono alla dieta chetogenica hanno meno attacchi di cefalea. In molti casi, i mal di testa addirittura spariscono durante la chetosi.” Attenzione al fai da te: per adottare un’alimentazione di questo tipo è necessario affidarsi a professionisti per evitare carenze e conseguenze potenzialmente gravi. Cosa abbiamo imparato: 1. L’alimentazione gioca un ruolo di primaria importanza nel mantenimento di uno stato di salute, ma è sempre più conosciuto il potere del cibo nella prevenzione e nel trattamento di numerose patologie. 2. Evitare particolari alimenti, migliora significativamente bruciore e acidità nel reflusso gastroesofageo. 3. Esistono diversi approcci dietetici nel trattamento delle cefalee, ma è consigliabile affidarsi a dietologi, biologi nutrizionisti o dietisti affinchè le indicazioni siano personalizzate e sicure. ARTICOLO SCRITTO PER IL BLOG MATITA E FORCHETTA Sebbene sia spesso sottovalutata da atleti, amatori e allenatori, una buona alimentazione gioca un ruolo primario nella vita di uno sportivo: già gli atleti olimpici dell’Antica Grecia seguivano diete speciali per sostenere allenamenti e trovare la forma migliore. Sia negli atleti di élite che in chi pratica sport a livello amatoriale o in chi corre con fini estetici, la quantità e la qualità degli alimenti introdotti con la dieta hanno un ruolo fondamentale: non si tratta solo di energia e forza fisica, ma anche di recupero, benessere, prestazione. Se ci si alimenta in maniera corretta si limitano affaticamento, stress e infiammazione, noti nemici di performance, dimagrimento e salute. L’alimentazione dello sportivo non si discosta troppo da quella di una persona sedentaria: l’equilibrio dei nutrienti, la qualità degli ingredienti, la varietà e la stagionalità degli alimenti sono aspetti che tutti dovremmo curare. Tuttavia, egli avrà un maggiore fabbisogno idrico, energetico e proteico e un elevato stress ossidativo. Il fabbisogno energetico e proteico varia in base alle caratteristiche del soggetto, al tipo di sport, alla durata e intensità dell’esercizio, al livello atletico e all’obiettivo. Nel running l’intake proteico raccomandato è di 1,3-1,5 g di proteine per kg di peso corporeo. E’ maggiore rispetto ai soggetti sedentari per la necessità di mantenere la massa muscolare, limitare il catabolismo proteico, facilitare il recupero, migliorare la resistenza e ridurre il rischio di traumi e infortuni. Sono consigliate proteine ad elevato valore biologico, ricche di amminoacidi essenziali e di ottima qualità: uova biologiche, pesce pescato, carne e formaggi magri e legumi secchi. I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia durante la corsa e possono rappresentare fino al 60 % delle calorie giornaliere. E’ consigliabile alternare prodotti raffinati e integrali e preferire cereali in chicco come orzo, farro, avena, oppure quinoa e grano saraceno. Pane o fette biscottate con un velo di miele sono ottimi spuntini peri-allenamento. E’ bene curare la qualità dei grassi introdotti con la dieta, assicurandosi buone fonti di acidi grassi essenziali, prediligendo pesce azzurro, frutta secca a guscio e olio extravergine di oliva. L’esercizio fisico produce elevate quantità di radicali liberi, responsabili di stress ossidativo e invecchiamento cellulare. E’ pertanto raccomandato un buon introito di vitamine, minerali e antiossidanti: 5 porzioni di frutta e verdura ogni giorno, variarne la qualità e scegliere prodotti freschi e di stagione. Attenzione alla disidratazione, soprattutto d’estate, che può ridurre la prestazione e creare problemi fisici. Cosa bere? Principalmente acqua, eventualmente con l’aggiunta di integratori salini. L’alimentazione va personalizzata in base alle esigenze di ognuno: Monica ad esempio, 40 anni e runner da 10, corre la mattina a stomaco vuoto, sebbene sia preferibile mangiare qualcosa dopo il digiuno notturno; “Al rientro faccio una colazione abbondante con uova, mandorle, yogurt e té verde. Col tempo ho introdotto la frutta fresca: recupero meglio ed è un buon modo per reidratarmi dopo i miei 10 Km!”. Monica ha sempre corso per diletto: “La corsa per me è uno svago, non ho mai pensato alle gare. Solo una volta ho corso la Mezza Maratona: gli ultimi Km sono stati davvero duri. Allora non curavo tanto l’aspetto alimentare. Quel giorno mi sono resa conto che su determinate distanze nulla può essere lasciato al caso. Come mangi ha la stessa importanza dell’allenamento fisico!”. Ed è proprio così. Cosa abbiamo imparato:
1. L’alimentazione di un runner deve prevedere una buona quota di carboidrati, proteine e grassi. Particolare riguardo va inoltre a vitamine, minerali e antiossidanti ed è importante prestare attenzione all’idratazione. 2. Non è solo importante la quantità degli alimenti, ma soprattutto la qualità degli ingredienti. 3. Qualunque sia il livello prestativo, l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella preparazione di un runner, purché sia personalizzata secondo le personali esigenze e necessità. Cos’è? E’ un olio vegetale ottenuto dal frutto della palma da cocco (Cocos nucifera L.). La polpa della noce di cocco è lasciata essiccare naturalmente e successivamente pressata e bollita, ottenendo così l’olio vergine di cocco. Da non confondere né con il latte di cocco (ottenuto mediante aggiunta di acqua calda alla polpa essiccata), né con l’acqua di cocco (ricavata estraendo il liquido presente all’interno delle noci di cocco).
Com’è fatto? Il punto di fusione è circa 24°C, per questo, a seconda della stagione e di dove lo si conserva, lo possiamo trovare sotto forma di olio (liquido) o burro (solido). Da dove arriva? La Palma da cocco è originaria delle regioni tropicali d'Oriente; oggi coltivata sia nel continente asiatico (Filippine, India e Indonesia) che in America centrale e meridionale (Messico e Brasile). Macros? 100 g di grassi per 100 g di prodotto: 900 kCal. Circa il 90% dell’olio di cocco è rappresentato da acidi grassi saturi (principalmente acido laurico): questo l’ha reso un grasso demonizzato ed evitato in quanto considerato dannoso per la salute cardiovascolare. In realtà nell'ultimo decennio tantissimi studi scientifici hanno dimostrato che i grassi a catena media (MCT) dell'olio di cocco apportano tantissimi benefici all'organismo: gli MCT non sono metabolizzati e stoccati come gli altri acidi grassi a catena lunga, ma sono prontamente ossidati e utilizzati a livello epatico. Come si mangia? Il suo elevato punto di fumo (circa 178°C) lo rende ideale per cotture lunghe e per friggere. E’ utilizzato come fonte grassa in numerose ricette dolci e salate; infine come ingrediente aggiuntivo di caffé, frullati e yogurt. A chi è consigliato? Gli studi dimostrano che l’utilizzo di olio di cocco riduce colesterolo, trigliceridi, LDL e aumenta i livelli di HDL. Può essere utile per il miglioramento del profilo lipidico, ma è soprattutto usato in campo fitness o nel dimagrimento: il rapido utilizzo degli MCT favorisce l’utilizzo dei grassi a scopo energetico, riducendo la massa grassa e promuovendo la flessibilità metabolica. Dove si compra? Nei negozi che vendono prodotti Bio, anche se inizia a vedersi anche nei classici supermercati. Attenzione alla qualità: preferire olio vergine e biologico, esente da processi chimici, di raffinazione, idrogenazione e deodorazione, dannosi e i cui prodotti sono fortemente sconsigliati. Altro da sapere? Molto utilizzato anche come cosmetico, in particolare contro le smagliature, come struccante naturale, crema da barba e dentifricio!
Da dove arriva? La leggenda narra che Maometto abbia donato il Kefir alle popolazioni del Caucaso, che hanno custodito la ricetta per diversi secoli: veniva utilizzato come cura della tubercolosi e delle malattie gastrointestinali e vi era la paura che se si fosse diffuso nelle popolazioni straniere, le sue proprietà terapeutiche sarebbero scomparse. All’inizio del Novecento, i russi ottennero i granuli di Kefir e poterono finalmente produrlo, inizialmente esclusivamente come cura per i malati. A metà Secolo iniziò ad essere prodotto a scopo commerciale ed è attualmente diffusissimo soprattutto in Russia e nel Nord Europa. Macros? 100 g di kefir di latte apportano gli stessi macros di latte e yogurt, cioè circa 41-65 kCal (a seconda della scrematura del latte): 1.5-3.5 g di grassi, 3.3 g di proteine e 3.5 g di carboidrati. Come e quando si mangia? Come per latte e yogurt, a colazione oppure a merenda. E’ buonissimo con fiocchi d’avena, frutta fresca e semi oleosi. Oppure dopo cena, al naturale, come spuntino serale!
A chi è consigliato? A tutti. Il termine Kefir deriva dalla parola armena keif, che significa “benessere”. La principale proprietà è il suo essere probiotico: migliorando la composizione della flora, contribuisce alla funzionalità intestinale e al potenziamento delle difese immunitarie. E’ controindicato nei soggetti allergici alle proteine del latte, mentre gli intolleranti al lattosio devono considerare la personale reazione: la fermentazione utilizza il lattosio e ne riduce pertanto il contenuto, inoltre è presente lattasi che ne favorisce il metabolismo. Tuttavia è bene valutarne la tolleranza individuale, iniziando con piccole dosi. Dove si compra? Non è difficile da trovare: molti supermercati ne tengono almeno una qualità. Tutti ce ne parlano, pochi ce lo spiegano. Cosa sono gli Omega e perché sono così importanti? Gli omega 3 e gli omega 6, altro non sono che grassi. In particolare vengono definiti acidi grassi essenziali, termine che non si riferisce al loro essere indispensabili, ma al fatto che devono essere necessariamente introdotti con la dieta in quanto il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli ex novo. In particolare, gli acidi grassi essenziali sono l’acido alfa-linolenico (ALA) e l’acido linoleico (LA), rispettivamente precursori degli acidi grassi della serie 3 e 6, che avviene invece all’interno dell’organismo. Sono molecole che presentano più doppi legami (o insaturazioni), per questo vengono detti polinsaturi (o PUFA – polyunsaturated fatty acids) e il nome omega 3 o 6 si riferisce alla posizione del primo doppio legame a partire dal carbonio metilico. Per farla breve, eccoli qui: Mr. Omega 3 e Mr. Omega 6, signorotti fondamentali per la nostra salute e benessere
Ciò che rende i PUFA famosi e importanti per la salute è però soprattutto il loro ruolo cruciale nella regolazione del processo infiammatorio.
Gli Omega 3 sono precursori di molecole (prostaglandine, leucotrieni e trombossani) antiinfiammatorie, antiaggreganti e vasodilatanti, mentre in tal senso gli Omega 6 hanno effetto opposto, determinando vasocostrizione, infiammazione e aggregazione piastrinica. Ma non cadete nel tranello: non per questo sono dannosi! Gli omega 6, stimolando la risposta infiammatoria, intervengono nella difesa del nostro organismo agendo contro agenti dannosi, come virus e batteri, o in risposta a stress e traumi. L’infiammazione è infatti un processo di fondamentale importanza per la nostra sopravvivenza. Tuttavia, è importante che non cronicizzi e, dopo aver svolto la sua funzione di difesa e riparazione, è importante che si spenga. Quando i livelli dei PUFA circolanti non sono ottimali, la risposta infiammatoria è alterata, tende a cronicizzare, aumentando il rischio di patologie cardiache, infiammatorie, autoimmuni, neurodegenerative, nonché aumentato rischio di sviluppare sovrappeso e obesità. In tale contesto, ecco più chiara l’importanza dei PUFA: mantenere il giusto rapporto tra omega 6 ed omega 3 garantisce l'equilibrio omeostatico degli eicosanoidi, facilitando la corretta regolazione dell’infiammazione. Se leggete bene, vedrete che ho parlato di RAPPORTO tra i due, e non di valori assoluti. L’alimentazione riesce tendenzialmente a fornirci le dosi sufficienti degli omega. Più importante è però il contenuto relativo di Omega 6 e Omega 3, aspetto che troppo spesso viene sottovalutato a fini salutistici. Il rapporto raccomandato va da 1:1 a circa 4:1 mentre nella dieta occidentale è di circa 20:1. In parole povere? Mangiamo pochi Omega 3 e troppi Omega 6! Gli omega 3 sono presenti prevalentemente nei pesci grassi quali salmoni e sgombri (ma anche trote, aringhe, sardine, alici, orate, sogliole, tonni e merluzzi); sono inoltre presenti in noci, semi di chia e semi lino e negli oli di lino e di soia. Gli omega 6 sono contenuti nuovamente nelle noci, nella frutta secca e nei semi oleosi, nonché negli oli vegetali come olio di mais e di girasole, che ritroviamo in abbondanza in fette biscottate, biscotti, grissini, crackers, cornetti, dolci, merendine e creme spalmabili. Nell’alimentazione moderna, l’introito di Omega 3 si è molto ridotta rispetto al passato; o meglio, il rapporto è sempre più sbilanciato verso i grassi della serie 6. Il fattaccio non è solo dovuto ad un ridotto consumo di pesce e un aumentato consumo di oli vegetali (presente in quasi tutti i prodotti confezionati), ma anche per questioni a monte. L’aumentata richiesta del mercato ha dato vita agli allevamenti (più o meno intensivi) in cui gli animali si nutrono di mangime a ridotto valore nutritivo rispetto a ciò di cui si nutrivano in passato: la conseguenza è che le carni, le uova e lo stesso pesce contengono meno Omega 3 rispetto ad una volta. I pesci di allevamento contengono quantità di EPA e DHA di molto inferiori rispetto ai pesci cresciuti naturalmente negli oceani, nei laghi e nei torrenti. I pesci azzurri, in particolare quelli dei mari freddi come salmone, tonni e aringhe (notoriamente quelli a maggior contenuto di Omega 3) ne sono ricchi proprio per l’alimentazione che conducono a base di plankton e alghe. Le uova di galline allevate a terra con erba e insetti ha un rapporto di PUFA molto più corretto e bilanciato rispetto alle uova di galline nutrite con i cereali; si è inoltre osservato che arricchire mangimi e cereali con semi di lino porta ad un forte miglioramento del rapporto Omega 6/Omega 3 delle uova che poi entrano nelle nostre frittate: in poche parole, siamo ciò che mangiamo, ma siamo anche ciò che mangiano pesci, polli e galline! Anche la composizione lipidica degli alimenti vegetali che assumiamo è cambiata: le piante coltivate che ci ritroviamo sulle tavole presentano contenuti diversi, a maggior contenuto di omega 6, rispetto alle specie selvatiche, presenti sulle tavole dei nostri antenati, più ricche di omega 3. Anche per questo motivo, è sempre consigliabile scegliere alimenti VERI, di buona qualità, non industriali e di origine nota e controllata. Macros?
Alimento proteico con poche calorie, privo di grassi e con pochi zuccheri! Per 100 g: proteine 11.8 g - grassi 0.2 g - carboidrati 4.1 g - kcal 65 Come e quando si mangia? Adatto a colazione per sostituire lo yogurt, per preparare e condire i pancake, in sostituzione del mascarpone per tiramisù light. Ottimo anche da usare con alimenti salati, in sostituzione a panna e salse, magari aggiungendo spezie ed erbe aromatiche! A chi è consigliato? Assolutamente a tutti! In particolare a chi è in regime ipocalorico, in quanto è un alimento molto saziante; e agli sportivi come fonte proteica! Ma non è uguale allo yogurt greco? È simile, ma costa moooolto meno! Dove si compra? Al momento l'ho trovato solo alla Lidl... si accettando indicazioni maggiori se qualcuno avesse trovato qualche negozietto che lo tiene! |
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Aprile 2018
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